08 aprile 2015

La fuffa della solidarietà


 Se decidiamo di guardare cosa sta succedendo ai diritti delle persone con disabilità ci si mette le mani nei capelli. Sempre se si hanno le mani. E se si hanno i capelli. In caso contrario si spalanca la bocca in segno di sbalordimento. Perché, visto dal di fuori, quello della disabilità sembra un mondo protetto e tutelato. Sembra.
Categorie protette, accessi prioritari ai servizi e alle cure, residenze protette, collocamento obbligatorio, leggi sull’accessibilità: questi sono solo alcuni degli esempi. A ben guardare, negli ultimi 30 anni, è stata emanata tutta una serie di provvedimenti volti a restituire dignità di vita alle persone con disabilità. Dopo la legge Basaglia in tutto lo stivale sono proliferati impegni in questo senso.
C’erano diritti in costruzione e un fermento: nascevano cooperative l’una sull’altra, tutte intente a prendersi una fetta della torta. Perché di questo si è trattato: di un grande mangiare da parte della società che, per farlo con la coscienza pulita, ha pensato che bastasse sostituire la parola “diverso” con “speciale”.
Eh sì, perché non è stato costruito un mondo per tutti, ma un mondo a parte per pochi individui speciali e protetti. Talmente protetti da essere tenuti lontani. Le categorie protette lavorano in situazioni appartate, con borse lavoro, protette da cooperative e associazioni che sfruttano le loro debolezze e si fanno belle alla luce di chi non conosce questa realtà.


Talmente speciali da avere diritti diversi dagli altri. Trasporti speciali, perché è più lucroso creare trasporti paralleli sui quali poter guadagnare con i soldi pubblici piuttosto che eliminare le barriere che impediscono l’uso dei mezzi pubblici e che permetterebbe a una buona fetta di persone con disabilità di muoversi in autonomia e senza alcuna spesa ulteriore per le casse comuni.
Scuole speciali, perché è più facile fare una scuola per ciechi e una scuola per sordi piuttosto che inglobarli nelle aule insieme agli altri; le stesse decisioni scolastiche, ad esempio in materia di gite, escludono gli alunni con disabilità con il benestare di insegnanti, compagni e genitori altrui.
Quando si dice che si avrebbe bisogno di maggiore sensibilità e maggiore solidarietà, così come c’era “un tempo”, siamo sicuri di dire il vero? In quel famoso passato si era davvero più sensibili e solidali?
E di che solidarietà stiamo parlando? Di quella che riconosceva il tuo diritto uguale al suo o di quella che si offriva di aiutarti senza impegnarsi a modificare la tua condizione? Ovvero stiamo parlando di una solidarietà che ha tolto i gradini davanti ai negozi o di una solidarietà che si propone di aiutarti tirandoti su come un pollo?


Si sente dire in giro che ci stanno togliendo i diritti (a noi persone con disabilità), ma guardando lo stato delle cose al 2015 ho la netta sensazione che non è possibile che ci tolgano qualcosa che non ci hanno mai dato. Ci hanno solo presi in giro, come quando ci incontrano per strada e ci danno una pacca sulla testa. Così, con quel sorriso ebete di chi prova compassione e pena per te, persona speciale.
Le leggi ci sono, ci mancherebbe. Abbiamo anche buone leggi. È stato istituito il diritto allo studio anche per i ragazzi con disabilità, ma ogni anno – ogni anno, ribadisco – c’è da lottare per avere insegnanti di sostegno formati e per un numero di ore adatto.
Inoltre ancora adesso le scuole non possono essere scelte liberamente a seconda della propria propensione personale, ma in base alla presenza o meno di barriere architettoniche. In queste condizioni si può parlare di diritto allo studio?
È stato garantito il diritto al lavoro, grazie alla legge 68 relativa al collocamento obbligatorio. Molte aziende, da sempre, hanno preferito pagare le penali pecuniarie piuttosto che assumere una persona con disabilità.
Il mondo cooperativo e associativo si è gettato a fionda su questa ghiotta occasione: non vogliamo mica lasciare questi ragazzi a casa (ragazzi, eh, anche quando si parla di uomini e donne di 50 anni), hanno bisogno di socializzare!
E così con la nascita delle borse lavoro il gioco è presto fatto. È diventata la forma più diffusa di inserimento lavorativo con tanto di pubblcità su quanto siano belli e buoni coloro che le organizzano. Persone che lavorano per meno di un euro l’ora. In questa realtà si può parlare di diritto al lavoro?
È stato garantito il diritto a una vita dignitosa, fuori dalle mura dei manicomi. Ad oggi però i dati ci dimostrano che gli investimenti in Rsd (residenze per disabili) e comunità alloggio supera di molto gli investimenti in assistenza indiretta.
Detto in altre parole: lo Stato (attraverso assistenti sociali, associazioni e cooperative) ti dà tutti i soldi di cui hai bisogno per rinchiuderti in un istituto/manicomio/casaprotetta/Rsd (che poi come vediamo sono molte volte dei veri lager), ma la stessa somma non è disposto a dartela per restartene a casa tua. Dov’è la libertà promessa?
È stata promulgata una legge dettagliata e precisa per modificare il costruito e privarlo di barriere architettoniche. Eppure non si è ancora capita l’importanza di un cambiamento del genere: i negozianti aprono fregandosene bellamente della normativa, in molti cercano tutti gli escamotage per evitare di spendere soldi per l’accessibilità, come se fosse una grazia concessa e non un obbligo di legge.
La Toscana - la Regione che Rossi alle porte delle elezioni diceva di voler rendere accessibile dal punto di vista dei trasporti - ha appena acquistato 90 (novanta!) bus sui quali non possono salire le sedie a rotelle a motore. Dov’è il mondo accessibile garantito dalle leggi?


Se qualcuno avesse voglia di provare a non entrare per una settimana in luoghi che hanno un gradino di accesso (compresi i mezzi pubblici) si potrebbe rendere conto della portata dei divieti.
Se è vero che un tempo la società era più sensibile e solidale, non è altrettanto vero che questa presunta sensibilità e solidarietà ha poi contribuito a creare un mondo in cui possono convivere tutti. Le lotte e le rivendicazioni di oggi sono le stesse di allora.
Quindi non posso rimpiangere un passato infruttuoso: posso solo chiedermi quale strada si possa ancora intraprendere per essere considerati persone a tutti gli effetti.

Articolo a cura di Nadia Covacci

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