06 febbraio 2015

Un pastore che non teme i lupi

In foto:Lorenzo e Margherita Cuffini con la figlia Erica.
Quando la malattia ti entra in casa, tutti i piani si sconvolgono. Ma l’avventura della vita insieme continua. Lo testimoniano Lorenzo Cuffini e la moglie Margherita, affetta da sclerosi multipla.

Il viaggio indesiderato è quello che ti conduce per strade che non avresti mai percorso. Che ti porta verso mete che non avresti scelto. «In fin dei conti, si era deciso e progettato di viaggiare insieme una vita intera. Ora, il viaggio in programma sembra andarsene a gambe all’aria: che fare? Tenere bene al centro che il viaggio era l’importante: non i progetti saltati, le prospettive crollate. Certamente altra cosa rispetto ai piani originari: ma che valesse sempre la pena di viverlo, e insieme».
Il viaggio indesiderato di Lorenzo Cuffini, 55 anni, torinese, inizia 25 anni fa quando, dopo solo un anno di matrimonio, alla moglie Margherita è diagnosticata la sclerosi multipla.
All’inizio la malattia è quasi asintomatica e nel 1993 nasce Erica. Poi, un lento e progressivo peggioramento che 7 anni fa l’ha costretta su una sedia a rotelle. La vita insieme ha portato Lorenzo a raccontare Il viaggio indesiderato (ed. Effatà), un piccolo manuale di sopravvivenza «quando la malattia entra in casa». La quotidianità dei protagonisti resta sullo sfondo, mentre emerge con forza l’interiorità di un uomo che ha avuto il coraggio di guardare in faccia le sue paure. Come quella che ti suggerisce di mollare, di mandare tutto all’aria, inseguendo un’alternativa ideale. «Ho cercato di non reprimere questo disagio», ricorda Lorenzo, «è una reazione istintiva. Mi sentivo inadeguato, avevo paura di soffrire e far soffrire, di vedere la nostra relazione diversa. Ho deciso di accettare queste sensazioni e di andare oltre chiedendomi se, pur nella fatica, ne valesse la pena. Oggi posso dire che ho avuto ampiamente ragione a rispondere di sì. Mi ha aiutato non prendere decisioni affrettate e concentrarmi sulle cose che insieme si potevano continuare a fare». Tra queste, una delle più belle è la festa con 300 amici organizzata per il venticinquesimo di nozze.
Un’altra tentazione è la sindrome di onnipotenza tipica di chi crede di farcela con le proprie forze. «Purtroppo spesso ci si rende conto tardi, quando ormai si è esauriti, e allora si ammette la propria insufficienza», ricorda Lorenzo. «Io all’inizio non conoscevo psicologi ed esperti, e allora ho chiesto aiuto a un frate dei Fatebenefratelli, che abitava all’interno dell’ospedale. Questo accompagnamento, non solo a parole, mi ha aiutato molto. Infatti, oltre ad ascoltarmi e consigliarmi, mi portava in giro per l’ospedale. Lì ho iniziato a vedere che c’erano situazioni anche peggiori della mia, a non sentirmi più l’unico sfortunato sulla terra».
Lorenzo Cuffini ha deciso di scrivere il libro che lui avrebbe voluto leggere: «Quando Margherita si è ammalata, cercavo qualcosa che mi aiutasse. Trovavo però solo testi teologici oppure una buona casistica di storie vissute. Parlando con le persone, anche nella Chiesa, mi rendevo conto che ci si confrontava sui grandi temi, ma se andavo sul personale, su come mi sentivo, su come reagivo, non trovavo persone disposte a confrontarsi davvero, a meno che non avessero vissuto la stessa situazione. Ecco perché nel libro ho evitato di raccontare fatti personali e ho parlato di cose che potrebbero interessare tutti». Anche con Margherita il “parlarne” è stato graduale: «All’inizio si dialogava poco sulla malattia, sia tra noi, sia all’esterno. Con il tempo, condividendo tante cose della vita di tutti i giorni, abbiamo iniziato a parlare anche della malattia, sempre più presente nella quotidianità. Credo che, se io fossi stato fuori tutto il giorno, sarebbe stato molto più difficile. Non penso che, stando lontani la maggior parte del tempo, la sera ci saremmo messi a parlare di cose così profonde. Noi abbiamo scelto di partire dalla condivisione delle cose piccole e poi siamo riusciti ad arrivare a quelle grandi».
Oltre dieci anni fa, Lorenzo ha deciso di chiudere l’azienda di famiglia per stare accanto alla moglie e a Erica. Adesso lui è impegnato saltuariamente come consulente mentre Margherita, ricercatrice economica, ha mantenuto il suo lavoro. È convinto che “i malati”, anche nella Chiesa, a volte rischiano di essere confinati ad alcuni ambiti: i pellegrinaggi, le Messe di guarigione, le giornate a loro dedicate. «Tutte cose molto buone, ma la vera sfida è l’autonomia nella quotidianità, non l’assistenza». Lui, in fondo, nel suo piccolo la sua sfida l’ha già vinta, attuandola con scelte concrete e coraggiose.

Testo di Ilaria Nava
 Articolo interamente tratto da http://credere.it/

1 commento:

Anonimo ha detto...

Un buon pezzo da leggere e rileggere proprio oggi, che è la giornata delle persone con disabilita!!